venerdì 26 giugno 2020

Citazioni forse alla rinfusa ...anzi senza forse




il tiranno, l'innominato e la modernità di Manzoni, di Romano Luperini

''Concludendo. L’apporto di Manzoni alla problematica moderna dell’inquietudine mi sembra di assoluto rilievo. Nei Promessi sposi l’inquietudine esce dalla sfera della vaporosità di certa letteratura romantica. Abbandona l’ambito dello “stato d’animo”, delle malinconie indeterminate e dei turbamenti amorosi, per entrare in quello della rappresentazione drammatica dei meccanismi del ritorno del rimosso e della resistenza che esso suscita. L’elemento drammatico è inoltre rafforzato dall’analisi potente e rigorosa dei rapporti di forza fra i personaggi e delle contraddizioni psicologiche di uomini dotati di grande potere e di grande autorità, nel male come nel bene. Partendo da archetipi biblici, filtrati anche dalla lezione di Dante e di Shakespeare, di Alfieri e di Pascal, nonché dei grandi predicatori francesi del Seicento, Manzoni ci offre una grandiosa rappresentazione dell’inquietudine del tiranno. La figura del despota turbato e angosciato, che dopo aver tiranneggiato il prossimo comincia a torturare se stesso, non è certo un’invenzione dei Promessi sposi, ma Manzoni ha indubbiamente contribuito a delinearla in modo più modernamente problematico. Ne è una conferma e quasi ulteriore riprova il fatto che la crisi d’identità dell’innominato sia prodotta non solo dall’incombere della morte e del giudizio di Dio, ma anche dal confronto aperto e drammatico con l’elemento femminile.
''




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“Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”: il simbolismo tardo-gotico di Dürer


''I campi e lo spazio-tempo hanno una coscienza? In realtà, la teoria dei campi quantici ci dice che i costituenti fondamentali della realtà non sono minuscole particelle, ma campi universali. Le particelle sono quindi intese come eccitazioni in questi campi. Se combiniamo il panpsichismo con la teoria dei campi quantici, allora otteniamo il cosmopsicismo, secondo il quale le forme fondamentali della coscienza sono i campi di tutto l’universo, e l’universo stesso è la mente cosciente fondamentale che porta questi campi.''


''la radice della tensione nasce dall’incapacità del nostro sistema sociale, prima ancora che economico, di garantire una vita dignitosa nel lavoro e luoghi consoni e non degradati nei quali vivere. Non nasce dagli immigrati ma da chi li sfrutta selvaggiamente e ne vuole sempre più, sempre più deboli, sempre più affollati e disperati. Lo fa freddamente, semplicemente, banalmente, per pagare meno un’ora di lavoro. Per poter produrre una mozzarella ad un prezzo inferiore di quello salernitano, per fornire i pomodori alle nostre tavole a pochi centesimi, per noi.
Gli immigrati, come i cittadini ai quali loro fanno effettivamente concorrenza, sono utensili, sono solo strumenti viventi nella grande macchina produttiva interconnessa ed estesa all’intero pianeta che pretende ogni singolo giorno che la rincorsa verso il basso continui.''




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APPUNTI DI UN COMUNISTA




I migliori problemi di Alcuino da York

PROPOSIZIONE SU UN COMMERCIANTE E I SUOI DENARI

Disse un commerciante: "Voglio comprare 100 maiali con 100 denari in modo tale da pagare 10 denari per un verro adulto, 5 denari per una scrofa e 1 denaro per due maialini". Dica, chi lo sa, quanti verri, scrofe e maialini dovrebbe acquistare il commerciante per spendere esattamente 100 denari?





Pandemia della spesa militare

''Tutto ciò comporta altre spese militari con denaro pubblico, mentre occorrono enormi risorse per fronteggiare le conseguenze socio-economiche della crisi del coronavirus, in particolare l’aumento della disoccupazione.

C’è però una azienda che assume: la Nato, che il 29 aprile ha lanciato «un innovativo programma per assumere giovani professionisti», ai quali promette un «salario competitivo» e possibilità di carriera quali «futuri leader e influencer».


mercoledì 24 giugno 2020

GIORGIO GABER Il conformista





Io sono un uomo nuovo
Talmente nuovo che è da tempo
Che non sono neanche più fascista
Sono sensibile e altruista orientalista
Ed in passato sono stato un po' sessantottista

Da un po' di tempo ambientalista
Qualche anno fa nell'euforia mi son sentito
Come un po' tutti socialista

Io sono un uomo nuovo
Per carità lo dico in senso letterale
Sono progressista
Al tempo stesso liberista antirazzista
E sono molto buono sono animalista

Non sono più assistenzialista
Ultimamente sono un po' controcorrente
Son federalista

Il conformista
È uno che di solito sta sempre dalla parte giusta
Il conformista
Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa
È un concentrato di opinioni
Che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani

E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire
Forse da buon opportunista
Si adegua senza farci caso
E vive nel suo paradiso

Il conformista
È uno che volteggia a tutto tondo
Senza consistenza il conformista
S'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza
È un animale assai comune
Che vive di parole da conversazione

Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori
Il giorno esplode la sua festa
Che è stare in pace con il mondo
E farsi largo galleggiando il conformista
Il conformista

Io sono un uomo nuovo
E con le donne c'ho un rapporto straordinario
Sono femminista
Son disponibile e ottimista europeista

Non alzo mai la voce sono pacifista
Ero marxista-leninista
E dopo un po' non so perché mi son trovato
Americanista

Il conformista
Non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone il conformista
Areostato evoluto che è gonfiato dall'informazione
È il risultato di una specie
Che vola sempre a bassa quota in superficie

Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato
Vive e questo già gli basta
E devo dire che oramai
Somiglia molto a tutti noi il conformista
Il conformista

Io sono un uomo nuovo
Talmente nuovo che si vede a prima vista
Sono il nuovo conformista






sabato 20 giugno 2020

Allorquando a Torino-Purtroppo una nuova puntata

Allorquando il  sito  della  Parrocchia  ortossa  Sa  Massimo  Vescovo  di  Berlino  Patriarcato  di  Mosca...

http://www.ortodossiatorino.net/Blog.php?id=8411

narra  dell'ennesimo  empio  conflitto  canonistico  territoriale  nazionalistico  tra  il  Patriarcato  di  Mosca  attraverso   Archevêché des Églises Orthodoxes de Tradition Russe en Europe Occidentale  e  il  Patriarcato  di  Georgia  attraverso  perfino  il  Metropolita presidente del dipartimento degli affari esteri ed inizialmente  relaziona  sul  conflitto  in  maniera  pacata  pur  dal  punto  di  vista del  Patriarcato  di Mosca  e  le  ragioni  esposte  non  sono  del tutto  peregrine.

Poi  alla  fine  arriva  l'insulto  ai  georgiani  che  diventa  uno  sfregio  versus  et  contra  la  gens  d'Israele  utilizzando,per  comparazione,  stilemi sprezzanti e  immagini  dell'inconscio  del direttore  del sito  che-spero-non  nascano  dal  brodo  dei  protocolli  dei  Savi  di  Sion

''Dall'altra, facciamo le nostre condoglianze alla Chiesa ortodossa georgiana, che ha perso un'altra preziosa opportunità di presentare i propri chierici come testimoni del Vangelo, e non come rabbini di ghetti etnici.''

Nessuna  Ulteriore  Considerazione. 

Solo  questa  conclusione  

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venerdì 19 giugno 2020

Allorquando a Torino.......-



Allorquando  il  sito  web  della  parrocchia  ortodossa  di  Torino  ''San  Massimo  Vescovo di  Torino  Patriarcato  di  Mosca  pubblica  una  riflessione  complessiva   di  Konstantin Shemljuk-Unione dei giornalisti ortodossi, 16 giugno 2020  ......

http://www.ortodossiatorino.net/DocumentiSezDoc.php?cat_id=35&id=8405

Nella  riflessione  legittimante  congrua  all'interno  di una  specifica  lettura  coerente  con  la  tradizione  ortodossa,ma  non  l'unica  lettura  possibile si  colgono  alcuni  momenti  che  sembrano  periferici  ma  tali  non  sono  e  che  sembrano  incidentali  ma  che,a  mio  avviso, sono le  colonne  portanti  ideologiche  per  la  successiva  considerazione  ecclesiale  e  teologica


cito  'George Floyd, precedentemente condannato per possesso e distribuzione di droghe, un uomo che aveva avuto diverse condanne penali e aveva scontato delle pene nelle carceri americane,''...


''Con tutto ciò, nessuno ricorda che quest'uomo durante l'ultima rapina a mano armata tenne una donna incinta con una mano per la gola, puntandole con l'altra una pistola allo stomaco e chiedendo soldi''

''criminale assassinato,''




Nasce  immediata  la  domanda   ''Quindi  l'esecuzione  di  George Floyd ,seppur  come  dire  atipica,ha  per caso un  suo  fondamento  di  regolarità? In  fondo  per  la  riflessione      non  è  stato  assassinato  una  persona,un  cittadino,ma  un  criminale  e  quindi,suvvia..direbbe  il  giornalista  Un  'malacarne''   che   ha  avuto,seppur  atipicamente,  quel  che  doveva  ricevere

George  Floyd  è  sicuramente  un rapinatore ma  l'autore  dell'articolo non  conosce-o  probabilmente  non  accetta,respinge  e  dis-prezza  le  garanzie  costituzionali  che  un  sistema  rappresentativo  e  contrattualistico DEVE  ,come  limite  all'arbitrio, riconoscere  ad  ogni  cittadino,''criminali''  compresi

Tali  garanzie  ,in  ordine   a  due  aspetti  specifici  dei  diritti  statuali  dei  cittadini,sono  state  recentemente  confermate  dalla  Corte  Suprema  USA  contro  gli  arbitri  del  potere  esecutivo

https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/18/news/usa_immigrazione_corte_suprema_delibera_contro_stop_trump_a_programma_dreamers-259574173/?ref=RHPPLF-VE-I257251573-C8-P3-S3.4-T1&fbclid=IwAR3V3TFry5FkldyIIG5zWdszAiA9vaW7Dt8eGvZVmhYUMLNkSQUwC7xjuBg


https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/15/news/usa_corte_suprema_no_licenziamento_gay-259281434/?fbclid=IwAR0bQuubeesIAdnSoZfcGeGSsWsg_egBaivepXvlg6_tPM803ltU8Y0oBrM




Probabilmente  il  direttore  del  sito  interessato  alla  successiva  riflessione  teologica  non  ha  badato  a  tale  impostazione  e  non  ha  potuto  considerarne  l'esserne  colonna  portante  e  fondamento  del successivo  dato  teologico.

Oppure...-a  pensar  male  si  fa  peccato,ma  ci  si  azzecca  sempre,una  felix  culpa  in  fondo.-..il  sito  ci  propone  ecclesialmente  per  la  riflessione  teologica  con  piena  consapevolezza  questo  fondamento. E'  una  scelta,una  scelta  ideologica,ma  Andrebbe  declarata. Nessuno  di  noi  è  esente  da  schieramenti  ''in  rebus  temporalibus'' ma  arruolare  da  essi  e  per  essi  il  Vangelo,No. Non  può  essere  consentito  a  Nessuno,a nessuna  Roma,nè  all'Antica,nè  alla  Nuova,nè  alla  Terza.

Il  giornalista  poi  immediatamente  prima  dei  paragrafi  teologici   la  seguente  considerazione

''Non si può negare che la popolazione nera degli Stati Uniti sia stata utilizzata come schiavi per centinaia di anni. Ma è ancora così?

Secondo le statistiche rilasciate dal Washington Post, la polizia degli Stati Uniti ha ucciso 1003 criminali nel 2019. Di questi, 249 erano neri, mentre 405 erano bianchi, cioè quasi il doppio! Quindi, anche i fatti più evidenti suggeriscono che non ci sono motivi per rivolte su così vasta scala.''

Quindi  riduce  in  modalità  svilente  la  tragedia  del  razzismo  in  america  a  mero  dato  tribunalizio  da  mattinale  di  polizia  giudiziaria .Ed  anche  colpevolmente  non  dice  se  ci  siano  state  o no  indagini  degli  Affari  interni  sui  1003  cittadini  uccisi  che  egli  continua ,senza  alcun  riscontro  di  documentazione  processuale, a  definir   ''criminali''..

Il  che  sa  molto  di  antichi  vezzi  staliniani  e  di  antichi  ed  attuali   vezzi  zaristi

A  questo  punto  un  commento  sulla  successiva  riflessione  teologica  è  inutile. Essa  nasce  ideologica.Un  peccato  originale  irredimibile



Risultato immagine per foto del famoso comizio di luther king

Il 28 agosto del 1963, il pastore battista Martin Luther King pronuncia il suo discorso più famoso: «I have a dream». 



giovedì 18 giugno 2020

In una foto una tragedia ecclesiale.



Il 3 giugno 2020, il capo dell'arcidiocesi del patriarcato di Costantinopoli in America, l'arcivescovo Elpidophoros (Lambriniadis) ha preso parte a una manifestazione di protesta a New York a sostegno del movimento Black Lives Matter.
L'arcivescovo ha affermato di essere venuto "per esprimere solidarietà ai fratelli e alle sorelle i cui diritti sono stati gravemente violati''



Questa  la  notizia  in  ambito  ''asetticamente'' informativo

La scelta dell'Arcivescovo,coniugata  all'interno  di  una  legittima  opinione,ma  nulla  più  di  un'opinione,ha  causato,all'interno ecclesiale,altrettante  legittime  opinioni  di  dissenso.  Nell'ambito  della  presenza  ortodossa   in  Italia  il  sito  della  parrocchia  ortodossa  di  Torino-Patriarcato  di  Mosca  ha  significativamente  contestato ,a  mio  avviso  ''in  ambito  politico  e  non  tanto  in  ambito  ecclesiale'',la  scelta  dell'Arcivescovo come  ovvia  conferma  del  serio''contenzioso''dentro  l'ecclesialità  ortodossa  sulla  ''questione  ucraina

E  riportando  integralmente  una  riflessione di Jaroslav Nivkin
Unione dei giornalisti ortodossi,  il  sito  declara'''È logico supporre che l'arcivescovo del Fanar abbia deciso di seguire la stessa strada e di copiare la simbiosi tra religione e potere che è stata attuata con successo in Ucraina.''




Segnalo  rapidamente  -senza  commento  alcuno-una  ''un  pò  cosi''  riflessione  del  giornalista Jaroslav Nivkin'Negli Stati Uniti, non vi è alcun problema di razzismo, almeno di un tipo tanto grave da causare disordini così diffusi.''


Ma  il  dato  politico  non  mi  interessa..Metodologicamente  riconosco  alla  citata  riflessione  la  legittimità  delle  critiche  perchè  è  possibile  con  cognizione  di causa ipotizzare  la  natura  di  strategia  politico-ecclesiastica  e  non  ecclesiale  del  Fanar,come  è  anche  palmare  che  la  riflessione  di  critica  sia  in  senso  uguale  e  contrario  di  strategia  politico-ecclesiastica  e  non  ecclesiale


Mi  interessa  la  tragedia  ecclesiale.Con  una  immediata  mia  precisazione.  Il  tomos  di  autonomia  che  il  Patriarcato  Ecumenico  ha  dato  ai  gruppi  scismatici  di  Ucraina  in  contrapposizione  alla  legittimità  cristiana  della  Chiesa  Ortodossa  Ucraina guidata  dal  beneamato  Metropolita  Onufrij  è  azione  ecclesialmente  colpevole  e  divisiva e  chissà  per  quanto  tempo


Quindi  lasciamo  uscire  di  scena  l'eventuale  ''tuttopolitico''  Arcivescovo  greco-americano .

La  questione  è  ''altra''   E  SEMPRE  COME  OPINIONE  NEL  SANO  PLURALISMO  DELLE  OPINIONI. I  cristiani  dovrebbero  sempre  alzare  la  voce  sin  da  sopra  i  tetti  contro e  verso  ogni  cultura  ed  ogni  evento  che,nella  storicità  concreta delle  società,leda  la  singola  persone  ed  anche  le  comunità e  dovrebbero  alzare  la  voce  sin  da  sopra  i  tetti  per  opporsi  a sfruttamento, a  manipolazione e  a soppressioni  di  diritti  statuali  della  persona  QUAND'ANCHE  E  SOPRATUTTO  TALI  DIRITTI  SIANO  ETICAMENTE  IRRICEVIBILI  DALLA  CHIESA.

Si  difende  il  diritto  che    ecclesialmente non  accettiamo perchè  conculcato  e  non  si  è  complici  di  chi  lo  conculca e  di  chi  statualmente  lo  nega  

Orbene   dovremmo  tutti  difendere  il  principio  per  il  quale''''Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione politica.''-Piero Gobetti''

E se cosi non pare per quello che negli anni settanta era definito ''clericalismo di sinistra'' cosi non pare per la collocazione ''clericalismo di destra'' Insomma siamo tutti ''in partigianeria'',distinti avversari .anche ecclesialmente- ma tutti gemelli monovulari litigiosi

Appendice

Anni fa sul web un cristiano ortodosso plaudiva all'apertura di una Chiesa Ortodossa a Marzabotto''luogo -cito a memoria-simbolo del comunismo bolognese''.Dimenticava quel fratello che ''Durante la seconda guerra mondiale il paese fu teatro e vittima della strage di Marzabotto (29 settembre 1944) perpetrata dai nazifascisti.''


«Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di von Kesselring, e dai loro soldati di ventura, dell'ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana.» (Salvatore Quasimodo, epigrafe alla base del faro monumentale che sorge sulla collina di Miana, sovrastante Marzabotto


Appendice seconda

La questione della violenza

La questione dell’abbattimento delle statue non mi trova concorde ma io rischio di essere un’anima bella e di fatto ,nel mio sommesso scrivere,complice di chi utilizza gli episodi delle statue e gli esiti ingiusti ed incontrollabili delle violenze per delegittimare e reprimere e le manifestazioni e il problema. Resta esemplificativamente chiaro,che il re dei Belgi Leopoldo II è stato ‘’il massacratore del Congo’’


Nel suo libro del 1961 “I dannati della terra” Frantz Fanon scrisse: “Colonialismo e imperialismo non hanno ripagato il loro debito dopo che si sono ritirati dai nostri territori. La ricchezza delle nazioni imperialiste è anche la nostra ricchezza. L’Europa è stata letteralmente creata dal Terzo Mondo.”

Appendice  Terza


Sulla'' simbiosi tra religione e potere ''  credo  opportuno  tacere  sia''per  carità  di  patria'',sia  'per  carità  a  me  stesso'' In  questo  ambito  nessuno  di  noi  è  innocente  e,in  questo  ambito,la  mamma  non  ha  mai  partorito  vergini  

lunedì 15 giugno 2020

Notte 15-16 Giugno Santa ed Apocalittica..

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Un pomeriggio sui bus AMAT..''Palermo irredimbile''


Ore  17,06  fermata  Via  Libertà -Ugdulena  percorso  verso  Piazza  Politeama. Mia  moglie ed io  pronti  per recarci in Via  Ruggero  Settimo  negozi  abbigliamenti  per  bambini.Tra  poco  sarà  con  noi  dalla  Germania  la  nostra  nipotina.Si presenta  un  bus  della  linea  101,un  bus a  ''doppio  settore'' Entriamo  in  bus  e notiamo  che qualcosa  sulle  attuali  regole  non  quadra  ...''almeno  22 utenti  presenti.''e qualcuno  non  indossa  la  mascherina.Tuttavia  sembra  che  sostanzialmente  la  distanza  di  sicurezza sia o  possa  essere  rispettata.

Fermata di Via Libertà-Piazza  Croci.  Il  bus  viene  accolto  ''con  festosità  palermitana''da  una  folla  scatenata  di  una  trentina di  ragazzi  e  ragazze  ,qualcuno  a  torso  nudo,qualcuna  urlante  come  ad  un  raduno  dei  cosiddetti  ''cantanti  neomelodici''.

Insomma  bulli  e  bulle

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Lumpenproletariat-'' sottoproletariato urbano privo di coscienza di classe''


s. neutro tedesco (propr. proletariato straccione) usato in italiano come sm. Così Marx designò il sottoproletariato non inserito nel lavoro di fabbrica, senza inquadramento sindacale e senza coscienza politica, contrapponendolo all'autentico proletariato organizzato e composto dalle masse operaie.


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L'autista  non  dovrebbe  aprire,dovrebbe  fermarsi data  l'impossibilità  di continuare  il  percorso e chiamare regolarmente  le  forze  dell'ordine.

Nulla  di  tutto  questo.Apre gli  ingressi...30+22.  Siamo  in  52.L'autobus  è  in  mano  ai  30  e  probabilmente  tale  resterà  fino  alla  Stazione  Centrale,il  capolinea.

Mia  moglie  ed  io  subito  cerchiamo  di  evitare  l'assembramento e tenerci  pronti  per  la  prossima  fermata.Abbiamo  deciso di  andar  comunque  via   da quella  situazione.

Con fare ''da  faccia  di  bronzo''-sono  esperto  nel  settore-mi  avvicino  fino al  divisore con  l'autista  e  gli  chiedo  se per  caso  le  note  regole  per  i  bus  fossero   terminate e  quindi  gli  ingressi   non più  contingentati.L'autista  farfuglia  qualcosa  di  incomprensibile  ma  -nel  nostro usuale  linguaggio  non  verbale-con  una mano mi  comunica che  nulla  può  farci  e  che,per  favore,io  non gli  rivolga domande  imbarazzanti

Appena  scendiamo  dal  bus   troviamo  un ''controllore.mia  moglie-anche  lei  esperta  nel  settore  delle facce  di  bronzo  con in  più  il  valore  aggiunto  del  sorriso-chiede se per  caso  le  note  regole  per  i  bus  fossero   terminate e  quindi  gli  ingressi   non più  contingentati. Stavolta  il  controllore  ci narra  che  in  questi  giorni  una  sua  giovane  collega su un bus a Mondello  era stata  aggredita con  calci  e  pugni  da  una  ragazza  a cui  aveva  proibito  l'ingresso per  il  rispetto  delle norme.La  collega  è  ancora  ricoverata.Ci  ricorda  che  per  l'Azienda le  regole  non  sono  cambiate  e che  la  responsabilità è  esclusiva  dell'autista  ''Ma  non  si  può  rovinare  un  padre  di  famiglia''

Palermo  2-coniugi  Giovanni  Gaetano  e  Nina  0

Ore 18,25  fermata  di  Via  Roma-Chiesa  Anglicana  per  rientrare  a  casa

Si  presenta il bus della  linea  101 affollato  come ''etsi lex  non  daretur'' Non  lo  utilizziamo  ma con fare  gentile come  se  volessi  chiedere  una  qualche  informazione,faccio  segno  all'autista  di  aprire  dal  suo  settore Gentilmente apre  e  gli  rivolgo  le  usuali  richieste

''Egregio  Signore  lei  ha  ragione.Ma  per  far  rispettare  le  regole  devono  dare  a  noi  autisti  una  pistola  e  un  mitra.Lei ,per  come si  sta  dimostrando,è  persona  perbene.Ma  i  nostri  concittadini  fanno  schifo  e  l'azienda  non  ci  protegge.Sta  arrivando  un successivo  101  Al  momento  è  in  regola.Ma  non  si  faccia  illusioni. La  saluto''


Palermo  3-coniugi  Giovanni  Gaetano  e  Nina  0

 Si  presenta il  successivo  101   in  regola.Ma  le  illusioni  finiscono  alla  fermata  Libertà-Duca  della  Verdura.Capita  l'antifona  scendiamo.A casa  si ritorna passeggiando



Palermo  4-  coniugi  Giovanni  Gaetano  e  Nina  0




sabato 13 giugno 2020

don Cristiano Marcucci, ha 48 anni, è da due anni e mezzo il parroco della parrocchia della Visitazione di Maria, nel quartiere Zanni di Pescara. -Bisognava far cosi-Bisogna far così

Portare la croce, casa per casa

7 aprile 2020 | diMario Calabresi


La Domenica delle palme delle chiese vuote, dei ramoscelli d’ulivo mai scambiati, delle benedizioni mancate. La Domenica delle palme di un mondo chiuso in casa tra paure, disagio e sofferenza. In mezzo alla strada, tra i caseggiati popolari, c’è solo un uomo in scarpe da tennis che si è messo sulle spalle una croce di legno, ha un ramo d’ulivo in mano e una brocca d’acqua. Sa che nel suo quartiere «la fatica di vivere è triplicata» e vuole mandare un solo messaggio chiaro: «Non siete soli, potete chiedere aiuto». Quell’uomo si chiama don Cristiano Marcucci, ha 48 anni, è da due anni e mezzo il parroco della parrocchia della Visitazione di Maria, nel quartiere Zanni di Pescara. Ottomila abitanti, tutte case popolari, «quartiere complicato ma molto dignitoso, di gente che combatte ogni giorno».
Don Cristiano Marcucci celebra la Domenica delle palme in strada, nel quartiere Zanni di Pescara (foto di Stefano Schirato per Altre/Storie)
Quando ho visto la potenza del gesto, nelle foto che ha scattato Stefano Schirato, ho cercato don Cristiano, per farmi spiegare come è nato: «In questo tempo di Covid-19, in queste settimane che sembrano già un’era per quanto hanno cambiato le cose, ho visto la povertà crescere, la fatica di vivere diventare fatica di sopravvivere. È un quartiere abitato da persone che hanno i banchi nei mercati, da ambulanti, badanti, donne che lavorano nelle pulizie, piccoli artigiani, un mondo di lavori saltuari e sommersi. Ho visto moltiplicarsi le richieste di assistenza. La Caritas parrocchiale aiutava un gran numero di famiglie ma le domande sono raddoppiate solo negli ultimi 15 giorni. Ho immaginato che le persone facessero fatica a venire in parrocchia a chiedere aiuto, non è facile per la dignità, non è facile se non si è già abituali frequentatori della messa, ho immaginato che anche chi stava male e non aveva soldi per fare la spesa pensasse: “Come faccio ad andare dal parroco proprio adesso, non mi sono mai fatto vedere ed entro in chiesa adesso per chiedere il pacco con il cibo?” Allora mi sono collegato a una associazione laica che fa volontariato sul territorio, che solitamente si occupa di attività educative, di giochi per i bambini e di socialità per gli anziani e insieme abbiamo portato un messaggio di aiuto per i bisognosi, tutti i bisognosi».
«Poi è arrivata la Domenica delle palme, con le chiese vuote, con l’impossibilità di scambiarsi un gesto di pace, di fare la processione e di benedire i ramoscelli d’ulivo. Ma cogliendo la fatica ho pensato che fosse importante mandare un segnale forte di amore e di attenzione e tendere la mano alla comunità. Così sono uscito con il crocefisso di legno, il ramoscello d’ulivo e la brocca d’acqua e ho cominciato a camminare nel quartiere. La risposta è stata potentissima, quando mi hanno visto e sentito le persone hanno cominciato a venire alle finestre, a uscire sui balconi, mi sono fermato per un momento di preghiera collettiva e di benedizione di fronte a ogni portone, una processione lentissima che è durata molte ore. Ho visto uomini adulti e anziani che piangevano e facevano il gesto dell’abbraccio, ho sentito la fatica della solitudine, della paura, della sofferenza, della precarietà di vite travolte».
Altre immagini della processione di don Cristiano (foto di Stefano Schirato per Altre/Storie)
Don Cristiano aveva avvisato il suo vescovo e aveva chiesto il permesso al comandante dei vigili urbani, voleva evitare polemiche, ma era cosciente che tutti avrebbero capito la necessità di questa testimonianza. Il suo gesto ha subito fatto il giro della città e Stefano Schirato, fotografo con sensibilità particolare per le storie degli ultimi, è corso a documentare questa processione solitaria e mi ha raccontato l’eccezionalità di questo prete che lui conosce da molti anni: «Un uomo fuori dal comune, che usa ogni strumento per parlare alla sua comunità, dalle tecnologie – con l’uso di YouTube e i file audio su WhatsApp – al megafono in mezzo alla strada. Ha un credo fondamentale ed è quello di non escludere ed emarginare mai nessuno, ma andare a raccogliere chi finisce fuori, per questo fu il primo a creare gruppi per divorziati e risposati nella sua parrocchia e lo fece con Ratzinger come papa».
La sensibilità di don Cristiano verso la fatica del vivere è scritta nella sua biografia, nella dignità dell’esistenza: «Mia madre, che non c’è più da cinque anni, faceva la pasta all’uovo, papà, che oggi ha 82 anni, era sarto. La mia famiglia faceva fatica, so cosa stanno provando in molti oggi e cosa vuole dire non aver da mangiare per i figli. Ricordo quando ero bambino e mia madre cucinava una fettina che poi divideva tra me e mio fratello. Per loro non c’era mai la carne». Ma non è solo una questione di cibo e di bollette che non si riescono a pagare: «È un tempo doloroso, in cui si muore soli, in cui non si celebrano i funerali, in cui non esiste il conforto dei malati, l’estrema unzione, è una situazione di tristezza infinita. Erano riti considerati scontati e perfino superati, ma quando non ci sono più ci si rende conto del loro valore. In queste settimane ho benedetto 15 salme in mezzo alla strada di fronte al cimitero, perché nemmeno i parenti più stretti ci possono entrare, e ho sentito la mancanza infinita dell’ultimo saluto. Un vuoto e una ferita che la nostra società si porterà dietro a lungo».
Don Cristiano da anni lavora per ricucire le ferite e gli strappi della società, che questo funzioni lo racconta il fatto che alle sue messe ci si debba portare la sedia da casa tanto sono affollate. Ma questa volta bisognava davvero andare casa per casa, stare nella strada e da lì mandare una voce. «Ho sentito anche che il messaggio di aiuto è stato recepito e apprezzato, non mi aspettavo una risposta così potente e partecipata. È stata la Domenica delle palme più bella e intensa della mia vita».

venerdì 12 giugno 2020

L’America che non perdona 12 giugno 2020 | diMarco Bardazzi*

L’America che non perdona

12 giugno 2020 | diMarco Bardazzi*




«Gentile Mr. Smith, avevamo in programma di ucciderla il 4 giugno. Purtroppo, il Covid ha cambiato i nostri piani. Le diamo un nuovo appuntamento per ucciderla il 4 febbraio 2021. Cordiali saluti». Il testo della decisione di questi giorni della Corte suprema del Tennessee sul caso di Oscar Franklin Smith non dice esattamente così, ma il senso è quello. Uno degli effetti collaterali (positivi) del Covid-19 negli Usa, è che ha messo in crisi anche la sempre prolifica macchina delle condanne a morte. Ma gli Stati si stanno riorganizzando e presto riprenderanno a uccidere i vari Mr. Smith in attesa nei bracci della morte. Qualche Stato non si è lasciato intimorire neanche dal coronavirus: per esempio il Missouri, che il 19 maggio ha eliminato con un’iniezione letale il condannato Walter Barton.
Una camera della morte con il lettino per l’iniezione letale, in un carcere dell’Arizona
Smith adesso ha altri otto mesi da vivere in attesa di morire, che vanno ad aggiungersi ai 30 anni già passati da quando fu condannato a morte per l’assassinio della ex moglie e dei loro due figli. Ormai è un settantenne che la società potrebbe tranquillamente lasciar morire in cella all’ergastolo (o anche valutare se non si sia guadagnato la possibilità di attendere la morte fuori da un carcere). Ma l’America della pena di morte non arretra di un millimetro. Il Covid è solo una temporanea battuta d’arresto: nei bracci della morte americani ci sono 2.620 persone in attesa di essere terminate con un’iniezione letale e gli arretrati dovranno essere recuperati in fretta. Anche se i ritmi non sono più quelli di fine anni Novanta-inizio anni Duemila, quando le camere della morte lavoravano a pieno ritmo. In quegli anni del picco di esecuzioni vivevo e lavoravo come giornalista negli Usa e nessuno tra i tanti temi che ho raccontato mi ha mai colpito più della pena di morte.
L’America ci affascina e ci interroga anche per le sue innumerevoli contraddizioni, come testimoniano questi giorni di tensione e scontro sui temi del razzismo, dell’abuso di potere, della libertà di espressione e di protesta. Con tutto quello che è successo negli ultimi anni, la pena di morte sembra quasi un tema secondario, lontano dai riflettori e dalle priorità del momento. Eppure, l’incapacità di rinunciare alla pena capitale resta la più vistosa e drammatica delle contraddizioni, soprattutto per l’insistenza nel negare la possibilità di una riabilitazione in carcere e nel non considerare mai chiuso un caso fino a quando non si è data ai familiari delle vittime la possibilità di quella che viene chiamata closure. La presunta pace che porterebbe il sapere che finalmente vendetta è fatta. Occhio per occhio, dente per dente. È vero, c’è la pena di morte anche in Cina o in Arabia Saudita. Ma inevitabilmente si pretende di più da un Paese che si professa culla della democrazia e che è stato fondato sulla promessa di proteggere «Life, Liberty and the pursuit of Happiness».
Questo grafico mostra il totale e il numero annuale di esecuzioni avvenute negli Usa dal 1976 al 1° giugno 2020
Di pena di morte americana è quindi giusto continuare a parlare, anche ora che i numeri delle condanne eseguite sono diventati molto piccoli. Perché se c’è un tema su cui è sbagliato concentrarsi sui numeri, è proprio questo. L’ho capito quando l’argomento generico “pena capitale” è diventato per me nomi, volti, storie. Due in particolare.
Una tiepida sera del settembre 2000, un gruppo di giornalisti italiani tra cui chi scrive, insieme a Oliviero Toscani, protagonista delle campagne contro la pena di morte firmate Benetton, si sono ritrovati in un luogo insolito: il parcheggio all’esterno del Greensville Correctional Center, a Jarratt, il luogo dove la Virginia mette a morte i propri dead men walkingUn posto sperduto in mezzo ai boschi, dove siamo arrivati in tanti per l’esecuzione di un italoamericano, Derek Rocco Barnabei. Avevo intervistato Derek Rocco varie volte nei mesi precedenti, ho seguito la sua vicenda di condannato che fino all’ultimo istante si è proclamato innocente dell’omicidio che gli veniva attribuito e quella sera ero là per raccontare il triste epilogo di una storia che si ripete nelle camere della morte di mezza America.
Il copione è più o meno sempre quello: il detenuto disteso sul lettino, gli aghi infilati nel braccio, una dose di sodio tiopentale che entra nelle vene per fargli perdere conoscenza, seguita dal bromuro di pancuronio per paralizzargli i muscoli e infine dal cloruro di potassio per provocare l’arresto cardiaco. La differenza, per me, era che stavolta quel detenuto non era solo un numero. Era una persona con la quale avevo scambiato lettere e telefonate, di cui conoscevo la famiglia e gli amici e che mezz’ora prima di morire, parlandomi per telefono dalla cella al fianco della camera della morte, con una voce carica di paura e adrenalina difficile da dimenticare, mi aveva detto: «Fai in modo che non si dimentichino di me».
L’italoamericano Derek Rocco Barnabei, giustiziato nel settembre del 2000 presso il Greensville Correctional Center di Jarratt, in Virginia
Nei mesi successivi, pensando a Derek e riflettendo su come continuare a raccontare la pena di morte dando un volto a persone che troppo spesso sono solo fantasmi, mi sono messo alla ricerca di altri “italiani d’America” nel braccio della morte. Non che il fatto di avere radici italiane significasse qualcosa di particolare, nel panorama degli oltre 3.400 uomini e donne che negli Usa in quel momento passavano il tempo aspettando di essere giustiziati. Ogni vita umana che se ne va per iniezione letale, sedia elettrica, camera a gas o plotone d’esecuzione (un paio di Stati lo prevedono ancora), ha un valore in quanto tale, non perché porta un cognome italiano o messicano, una pelle bianca, nera o quant’altro. Ma il caso Barnabei, con le folle in piazza in Italia a seguire in diretta l’esecuzione in Virginia, aveva dimostrato che inevitabilmente negli italiani scattava un motivo di attenzione in più nel sapere che si parlava di un figlio di immigrati delle nostre terre, piuttosto che di un ragazzo messicano di una gang di Los Angeles.
È così che dalle sterminate liste degli ospiti del braccio della morte, è saltato fuori un “signor Rossi” in attesa del boia in Arizona in un posto con un nome che a sua volta richiamava l’Italia: Florence. Un personaggio impensabile che nel tempo è diventato mio amico.
Florence è una cittadina di seimila abitanti, tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione sull’asse Phoenix-Tucson, che sognava di diventare protagonista di una corsa all’oro sulle vicine Superstition Mountains. Quando l’oro si è rivelato solo una superstition, la città si è buttata su un altro business: quello delle prigioni. È dalla fine dell’800 che l’Arizona custodisce i detenuti a Florence. Durante la Seconda Guerra Mondiale vi vennero realizzati anche campi di detenzione per i prigionieri nemici e ancora oggi, nel museo locale, si possono ammirare foto ingiallite di volti siciliani, rosari, immagini della costiera amalfitana: sono le reliquie che ricordano la prigionia dei molti italiani che trascorsero qui lunghi mesi, talvolta anni di detenzione nel deserto. Dal 1910 a Florence l’Arizona ha anche cominciato a giustiziare i propri condannati a morte. Una faccenda che un tempo si sbrigava in fretta, con le impiccagioni. Ma nel 1930 la prima donna a venir giustiziata, Eva Dugan, restò decapitata e l’orrore per l’accaduto spinse le autorità a passare alla più “civile” sedia elettrica. Oggi lo Stato ammazza con l’iniezione letale, ma lascia aperta anche l’opzione della camera a gas.
Una veduta dall’alto dell’Eyman Complex, il carcere più protetto di tutto lo Stato dell’Arizona che si trova nella città di Florence
Le prigioni di Florence sono più o meno accessibili secondo la pericolosità dei loro ospiti. Il carcere più protetto di tutti è l’Eyman Complex e al suo interno l’unità più isolata è la Special Management Unit II (Smu-II), dove convivevano detenuti di massima pericolosità e i condannati a morte dell’Arizona. Nel 2004 sono entrato nella Smu-II per andare a incontrare, dopo tre anni di scambi di lettere e qualche complessa telefonata, una delle 128 persone che là dentro erano in attesa di essere ammazzate: Richard Rossi, Richie per gli amici, il detenuto numero 50337 del sistema dell’Arizona State Prisons.
Richie era il figlio di Andrea “Andrew” Rossi, emigrato negli Usa da Roma, e della napoletana Angelina Rossetti. La coppia lo mise al mondo il 30 giugno 1947 a Brooklyn e il piccolo Richard era cresciuto nella vivace comunità italoamericana locale, prima di trasferirsi a Phoenix, in Arizona, dove ha commesso l’errore che è costato la vita a un altro e ha rovinato per sempre anche la sua. La notte del 29 agosto 1983, schiavo degli effetti della cocaina, uccise a colpi di pistola Harold August durante un litigio legato alla vendita di una macchina per scrivere. Una vicina di casa di August fu colpita a sua volta, ma se la cavò.
Richard Rossi, italoamericano detenuto nella prigione di Florence, in Arizona, e condannato a morte per un omicidio commesso nel 1983. È morto per cause naturali prima dell’esecuzione
Richard Rossi ha sbagliato e non lo ha mai negato. Ma si è trovato chiuso per sempre in un luogo che non ammette la possibilità che un uomo possa cambiare, neppure dopo più di 20 anni di cella. Un posto dove non c’è spazio per il perdono e per una seconda possibilità. Dai tempi del suo processo, celebrato quando ancora alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan, Richie ha aspettato paziente di morire di iniezione letale e ha riempito il tempo scrivendo a un gran numero di amici o mettendo su carta pensieri e analisi sul sistema carcerario, sotto forma di saggi o di poesie. Un suo libro, pubblicato in Italia con il titolo “La mia vita nel braccio della morte” (Tea Edizioni), è una delle testimonianze più dettagliate che conosco di come trascorre il tempo un condannato. Per 23 ore e mezzo, il mondo di Richie era una tomba di cemento di 3 metri per 2 metri e 20, senza finestre e con una porta di metallo traforato che non concedeva niente alla privacy. La mezz’ora restante era quella d’aria, in una gabbia solitaria all’aperto nei 40 gradi dell’Arizona, con l’unica compagnia di una pallina di gomma da tirare contro il muro, per fare esercizio.
Per parlare con Richie e gli altri detenuti, nella grande sala colloqui del carcere, occorreva quasi urlare con la bocca appoggiata a una sottile intercapedine metallica, l’unica fessura attraverso la quale i suoni potevano raggiungere l’interlocutore, dall’altra parte di un vetro antiproiettile. Prima di entrare nella sala, occorreva sottoporsi alla lunga trafila dei controlli attraverso barriere di filo spinato e cemento, dopo essersi assicurati di aver rispettato tutti gli articoli del regolamento. L’elenco dei divieti era lungo due pagine e prevedeva, tra le altre cose, l’obbligo di non indossare jeans e di lasciar fuori soldi, gioielli, oggetti metallici di ogni genere, persino pezzi di carta. Eppure, quando superavi le lunghe trafile burocratiche e arrivavi finalmente di fronte a Rossi, trovavi un uomo sorridente, che raccontava barzellette e sembrava sapere del mondo esterno più cose di chi vive la quotidianità senza vincoli e sbarre, ma in modo distratto.
Richie alla fine ha fregato lo Stato dell’Arizona: è morto di cause naturali, prima che lo ammazzassero. Nei suoi ultimi anni, aveva preso l’abitudine di spedire per posta alle mie figlie figurine di carta fatte a mano nelle sue lunghe ore vuote. Erano uccelli, angeli, quasi sempre creature con le ali. Era il suo modo di esprimere la voglia di volare di chi è costretto dentro una gabbia.
*Marco Bardazzi ha girato il mondo per un trentennio come giornalista. Per dieci anni ha raccontato l’America agli italiani da New York e Washington per l’Ansa, poi ha lavorato alla “Stampa” e ora guida la comunicazione di Eni.