sabato 9 maggio 2020

Da Repubblica. COMMENTI La pandemia della fame Il virus e l’altro pianeta -il Bernard-Henri Lévy che non ti aspetti più.(con alcune premesse )



PREMESSE


1-Ringrazio il  caro amico Bernardo  Puleio,ordinario di Italiano  e   Latino  in titolarità  presso   il  Liceo Classico  Umberto I  di  Palermo per aver pubblicato  sul web  l'articolo con questa  presentazione

 "L'altra pandemia: la fame. Il filosofo francese osserva controcorrente tra l'altro che la globalizzazione ha ridotto la fame nel mondo. Da Repubblica.


2-Dopo  tanti anni :il   Bernard-Henri Lévy  che   non  ti  aspetti  più.La speranza  delll'inizio della critica di se stesso e un ritorno all'inizio ,l'inizio di un francese della gens d'Israele che in quanto e perchè tale dava colpi di martello ad ogni mitologhema





COMMENTI
La pandemia della fame
Il virus e l’altro pianeta
di Bernard-Henri Lévy



Notizie cadute nel dimenticatoio della follia legata al coronavirus. Rivolta di precari in un quartiere disagiato di Tláhuac,una delle zone "aride"del Messico, dove non c’è acqua a sufficienza per lavarsi le mani. Due morti e parecchie decine di feriti nella bidonville di Kibera, a Nairobi, durante la distribuzione di farina e olio da cucina che si trasforma in una calca generale e che richiede l’intervento della polizia. Gli abitanti di una baraccopoli di Città del Capo in Sudafrica erigono barricate lungo le strade: gridano di aver capito l’ordine di «rientrare a casa», ma di non avere una casa dove andare e, oltretutto,hanno fame.

In India un milione di persone o forse più lascia le città dell’immenso stato dell’Uttar Pradesh, ma anche di Punjab, Haryana,Maharashtra e Gujarat: non è rimasto niente da mangiare. Si incamminano verso i rispettivi villaggi d’origine in lente e lunghe file, prese di mira da bande di sciacalli.

In Venezuela, che quel giorno riportava dieci casi ufficiali di decessi per coronavirus e dove non c’era più posto per curarli  da nessuna parte perché dagli ospedali sono state rimosse e razziate tutte le apparecchiature mediche, inizia il saccheggio di grandi magazzini e piccole botteghe negli stati di Bolivar e di Portuguesa.


Si segnalano carestie gravissime in Thailandia, in Congo, a Kinshasa e nello Zimbabwe, in passato uno dei granai d’Africa. Si parla di tumulti provocati dalla penuria di cibo lungo l’Equatore; nel campo di Kabasa in Somalia; nella periferia sud di Beirut, nel quartiere di Hay el-Sellom, i rivoltosi scandiscono: «Non confinateci, dateci da mangiare».


Perfino in Francia, i prefetti – in particolare quello di Seine-Saint Denis in un carteggio pubblicato da Le Canardenchaîné – ammettono di attendersi presto gravi carenze di generi alimentari che  avranno  un impatto  enorme su decine di migliaia di persone e potrebbero sfociare in rivolte popolari.


Del resto, per rendersi conto di come la distribuzione di pasti caldi dei volontari dei Restos du coeur non abbia mai attirato un numero superiore di persone, è sufficiente passare in Place de la République a Parigi al sabato sera, poco dopo le 19.
Per farsene un’idea, basta recarsi, sempre di sabato sera, nei quartieri a nord di Parigi, alla Porte d’Aubervilliers, dove centinaia di  immigrati clandestini in precedenza accampati sulla colline du crack ,smantellata a febbraio,adesso se ne stanno in un’area brulla prospiciente la zona industriale Cap 18: tra loro ci sono afgani, somali, qualche libico, un bengalese, alcuni sudanesi. Sembrano smarriti, randagi, sdraiati su materassi a brandelli, immobili come se dormissero: sono altri famelici esseri umani che non trovano più niente di commestibile nei rifiuti delle strade dei dintorni e che le Ong,sovraccariche di lavoro, non riescono più ad aiutare.


Perché parlo di tutto questo?
Perché nel corso della mia vita mi sono occupato di un numero sufficiente di situazioni di emergenza pers apere che, se esiste una graduatoria delle calamità per il genere umano, quasi certamente la fame – con i corpi vivi ma avvizziti, i bambini morti o prematuramente invecchiati, le infezioni agli occhi, la testa che fa male, la necrosi dei tessuti che avanza veloce, gli episodi di rivolta, Coupeauche diceva a Gervaise«se hai fame,mangiati una mano!E tieniti l’altra per domani», e poi il distacco finale, le ultime apnee e la morte repentina – occupa una posizione molto vicina all’apice.

Perché so, fin dai tempi in cui fondammo Action contre la faim – nel 1979 con Françoise Giroud, Alfred Kastler, Jacques Attali, i radicali italiani Emma Bonino e Marco Pannella, Marek Halter, il dottor Robert Sebbag e altri ancora, una piccola organizzazione ormai cresciuta che gode di risorse e di mezzi d’intervento considerevoli – che né questa né altre associazioni sono riuscite a scongiurare che ancora oggi sul nostro pianeta il flagello della fame uccidesse 25 mila persone al giorno.


E, infine, perché so che il Covid– fermando l’economia all’improvviso, obbligando a una "pausa" la globalizzazione (accusata di tutti i mali e di cui con eccessiva faciloneria dimentichiamo che in trent’anni ha fatto uscire dalla miseria un terzo del genere umano), congelando gli scambi commerciali che hanno interrotto gli approvvigionamenti per chi soffre la fame – fatalmente farà incrementare il numero degli indigenti della Terra.

Più avanti, in conclusione, vi dirò anche in che modo io consideri lo sgomento ve la paura che si sono abbattuti sul mondo  insieme al coronavirus.
Tuttavia,perché non iniziare facendo notare  subito, di fronte a queste notizie d’agenzia che sembrano arrivare da un altro pianeta, quanto vi sia di astratto, di assurdo e – viste le circostanze – anche di scellerato nel dibattito concettuale che colloca chi è al governo nella posizione di dover scegliere tra "la vita" e "l’economia", ovvero, in realtà, tra i morti da Covid e gli altri?



Come non restare  sconvolti dall’enorme sproporzione dei  mezzi dispiegati per individuare, sperimentare e naturalmente propagare una cura per un’epidemia nuova e tragica e la tetra indifferenza alla quale sembrano condannate le vittime della più antica pandemia dell’umanità?


A questo proposito, ecco un altro titolo in prima pagina della stampa americana che ci è sfuggito.È stato pubblicato sul WashingtonPost del 29 aprile.

Mentre gli Stati Uniti, come tutti noi, ricorrono a sforzi sempre più impegnativi per nascondere quei corpi affamati su cui il nostro sguardo non vuole posarsi, si annuncia il lancio di due colossali progetti di ricerca condotti dall’Università della Pennsylvania e dallaScuola di Igiene e di Medicina tropicale di Londra. Qual è il loro obiettivo?Addestrare cani labrador dal "fiuto eccezionale", in grado di individuare l’odore del Covid negli esseri umani.Ancora non ci hanno  detto a che cosa –o a chi– potrebbe assomigliare quell’odore.
In ogni caso, sono felici di informarci che gli otto cani già addestrati saranno capaci, a velocità di crociera, di individuare fino a 250 casi l’ora.
Si tratta di un progetto troppo assurdo per essere vero. Eppure… Ne riparlerò in seguito.




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