mercoledì 20 ottobre 2021

"calci in culo a chiunque avesse anche solo pensato di definirsi filosofo senza conoscere approfonditamente la matematica e la geometria! "

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Ed ovviamente l'autore del testo non sono io 


Tutti sanno che Newton fu un gigante del pensiero scientifico in generale e matematico in particolare. Uno di quei geni talmente insensati che, tanto per dirne una, formulò una legge (quella di gravitazione universale) che costrinse l’umanità a rendersi conto che non c’era alcuna distinzione cosmologica tra mondo terrestre e mondo celeste: le stesse leggi che valevano per i pianeti in cielo valevano anche per gli oggetti qui sulla terra.

Tanto per dirne un’altra, Newton inventò anche la procedura matematica sulla quale ancora oggi molti studenti universitari sbattono la testa, cioè il *calcolo infinitesimale*.

Questa procedura, per dirla un po’ alla buona, è il modo grazie al quale riusciamo a calcolare gli integrali delle funzioni matematiche, cioè l’area compresa tra il grafico della funzione disegnata su un piano cartesiano e l’asse delle ascisse (“l’asse x”, no?).

Prima del 1600 semplicemente non c’era modo di eseguire gli stessi calcoli con altrettanta precisione, benché moltissimi matematici europei stessero lavorando sui cosiddetti “metodi di esaustione” (noti fin dai tempi degli antichi greci), di cui il calcolo infinitesimale può essere considerato l’erede più importante. E oggi, a più di 400 anni dalla sua introduzione, è ancora quello (grosso modo) il metodo con cui si calcolano gli integrali delle funzioni.

Al di là dei tecnicismi, forse qualcuno avrà sentito dire che Newton e Leibniz si presero a male parole per parecchi anni cercando di convincere il mondo (aka l’Europa) che era stato uno, e non l’altro, a introdurre per primo il calcolo infinitesimale e che quindi, di conseguenza, l’altro fosse solo un copione di merda.

La spiacevolissima diatriba accademica iniziò in un certo senso retrospettivamente: sebbene Newton avesse scritto qualcosa di relativo già in una lettera del 1666, Leibniz fu sicuramente il primo a dare alle stampe un trattato che affrontava precisamente questo tema, nel 1684. Pochi anni più tardi (nel 1687) Newton pubblicò la sua opera più famosa, i *Principia Mathematica*, e ancora nel 1696 de l’Hôpital (un altro matematico) pubblicò un commento sul lavoro di Leibniz in cui affermava che, nonostante la priorità temporale di Newton, egli preferisse di gran lunga la notazione di Leibniz (una notazione “più comoda” per fare i conti).

Fu solo nel 1699 che Leibniz venne pubblicamente accusato di plagio e, forse per pararsi il culo, iniziò a sostenere che in realtà fosse stato Newton ad aver copiato il suo lavoro, dato che le sue pubblicazioni ufficiali erano precedenti a quelle del collega inglese. Nel far questo, Leibniz si rese anche protagonista di alcuni colpi di scena epocali, uno dei quali lo vide pubblicare anonimamente una critica a Newton, salvo poi essere sgamato e costretto ad ammettere la paternità di quello scritto (colpo di scena o figura di merda?).

Successivamente, nel tentativo di stabilire chi dei due fosse il più geniale (e, quindi, il meno incline a dover copiare un’idea da qualcun altro), venne indetta una competizione matematica che prevedeva di trovare la retta tangente ad alcune curve date ma, forse a causa della formulazione ambigua del problema, Newton indicò “solo” una delle tante tangenti possibili, lasciando quindi a Leibniz la vittoria a causa della sua (di Leibniz) soluzione “generale” al problema dato.

Il punto è che Newton avrebbe tranquillamente potuto riconoscere che anche il collega tedesco fosse arrivato alle sue stesse conclusioni per una via diversa, ma invece si fece portavoce della convinzione che Leibniz fosse a tutti gli effetti un copione; e questo Leibniz non lo avrebbe mai potuto accettare, dato che un genio come lui(*) non aveva alcun motivo di copiare da qualcun altro.

(*) Leibniz, tanto per dare una dimensione della vastità del suo intelletto, era uno che sapeva semplicemente TUTTO quello che un uomo della sua epoca poteva sapere, venendo considerato l’ultimo vero “tuttologo” della storia: sapeva tutto di matematica, di fisica, di filosofia, di diritto, di teologia, di lingue classiche, di lingue contemporanee, di geografia, di astronomia… Sapeva tutto. Tut-to. TUTTO.

Il punto è che ancora all’epoca non era chiaro che quando i tempi sono maturi è solo questione di fortuna chi arriva prima e chi arriva dopo. Lo stesso Einstein, secoli dopo, a chiunque gli chiedesse come mai solo lui fosse arrivato a quella conclusione sconcertante (la teoria della relatività, no?) avrebbe risposto proprio che i tempi erano maturi, e che se non l’avesse fatto lui sarebbe toccato a qualcun altro.

Ora però voglio farvi notare un’ultima cosa, tangente al meme di oggi (e qui mi aspetto sorrisetti compiaciuti e mazzi di fiori in stile Peter Griffin che compra Debussy e Bach).

Se vi chiedessi di nominare un filosofo inglese del 1600 il nome che probabilmente avreste sulla punta della lingua sarebbe quello di John Locke (se vi venissero in mente quelli di George Berkeley o di David Hume sareste fuori strada perché mentre il primo era di nazionalità irlandese, il secondo visse nel ‘700 😛 ).

In tanti anni di confronti con studenti e/o appassionati di filosofia (o presunti tali) non mi è mai capitato di sentir rispondere a quella domanda pronunciando il nome di Newton... Mai. È rarissimo, quasi impossibile, nonostante sia stato un gigante assoluto della storia del pensiero filosofico in generale e scientifico in particolare.

Perché questo?

Perché la maggior parte di noi italiani (e una cosa simile vale per i tedeschi e i francesi, benché per ragioni differenti) è “vittima” di un modo tutto idealistico di percepire la cultura e la sua ripartizione in discipline. In particolare, qualcuno avrà sentito dire che l’attuale sistema scolastico italiano è legato direttamente all’impostazione che gli diede il ministro Giovanni Gentile ai tempi del fascismo: da una parte le scuole professionali, che avrebbero formato la futura classe lavoratrice (“subalterna” avrebbe detto Gramsci, semplificando un po’), e dall’altra parte i licei classici e scientifici, indispensabili per dare ai futuri membri della classe dirigente(**) una formazione “a tutto tondo”, liberandoli dalla necessità di imparare qualsiasi tecnica o lavoro manuale. C’erano i figli dei poveri per quello, no?

(**)I figli dei ricchi, nobili o borghesi che fossero.

Ebbene, Giovanni Gentile (oltre che fascista e teorico del fascismo) era un filosofo di professione ed una delle massime figure del neoidealismo italiano e, per chi sa cosa significa “idealismo”, non credo ci sia bisogno di aggiungere nient’altro per capire come mai non ci viene in mente Newton quando ci chiedono di nominare un filosofo inglese del ‘600.

Per chi invece non sa cosa significhi “idealismo”, vi basti riflettere sul fatto che fino a pochi anni fa al liceo scientifico si era “costretti” (passatemi il termine) a seguire più ore di latino che di scienze quali la chimica, la biologia, la geologia, l’astronomia o non sia mai l’informatica. Solo la matematica era (ed è) tenuta in alta considerazione, forse perché piaceva così tanto a Platone (a buon intenditor poche parole…).

Anche lo studio della fisica era abbastanza ridotto, se non per coloro che, come me, scelsero esplicitamente un percorso che ne prevedesse l’insegnamento già dal primo anno. Per tutte le altre sezioni del liceo scientifico lo studio della fisica sarebbe comparso dal terzo anno di scuole superiori (e forse era più sensato così, ma solo perché la matematica necessaria ad affrontare i primi problemi di fisica non è ancora stata affrontata durante le ore di lezione di matematica!).

In Italia, in altre parole, ogni disciplina che preveda di “sporcarsi le mani” in un laboratorio è considerata culturalmente meno importante rispetto ad un’altra disciplina che si può studiare ricorrendo esclusivamente ai libri, comodamente seduti all’interno di qualche antica biblioteca (meglio se di proprietà dei gesuiti); riformulato, qui da noi si può essere tranquillamente considerati “intellettuali” e “filosofi” senza sapere assolutamente niente di matematica e scienza, e questo è male, molto male. Malissimo. D’altronde quando si fa teologia a che serve fare gli esperimenti? Per la fede è cruciale il “mistero”, mentre le scienze cercano sempre di vederci chiaro...

A tal proposito, se fosse stato vivo Platone (fiero eredo dei pitagorici e della loro scuola) avrebbe preso a calci in culo chiunque avesse anche solo pensato di definirsi filosofo senza conoscere approfonditamente la matematica e la geometria!

Ok, anche per oggi è tutto… E scusate lo sfogo.






questo  l'indirizzo link  della pagina fb da cui ho tratto la riflessione


per opportuna e doverosa conoscenza  e per possibilità di frequentazione

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