Chiamato in Svezia dalla regina Cristina, Cartesio viene richiamato alla realtà dal freddo, dalla miseria e dalla fame a cui viene abbandonato. In particolare, fa fatica col ghiaccio per strada: cade sette volte in un semestre, fratturandosi altrettante ossa. Costretto a letto dall’infortunio, e pieno di rancore verso il Mare Baltico (“l’orizzonte di ogni mio sfacelo”), Cartesio scrive questa lunga meditazione in cui rivaluta la sua filosofia. Ora non pensa più di dubitare, ma dubita di pensare (“forse mi si è slogata la ghiandola pineale”), ed elabora la famosa dottrina delle “idee contuse e distanti”. Il suo soggettivismo si riduce adesso al “penso, dunque cado”, cosa che non gli vieta di chiudere il saggio con questo slancio d’orgoglio: “Ma io sono Cartesio. Voi chi diavolo siete?”.
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